Vignali: Il dibattito sulle banche e il caso Beretta

Raffaello Vignali

La lettera del deputato del Pdl Raffaello Vignali, pubblicata dal Corriere della Sera del 1° febbraio   

Il dibattito sulle banche iniziato sul Corriere a partire dall’articolo di Dario Di Vico domenica scorsa, insieme all’emergenza dei ritardi dei pagamenti della PA e dei privati, costituisce la questione più rilevante per le imprese in questo momento.
Sulla vicenda delle banche, temo abbia ragione Dario Di Vico. Non mi ascrivo tra quelli che vedono nelle banche il nemico contro il quale scagliarsi; il nemico semmai è la crisi, le banche sono strumenti essenziali per lo sviluppo e la crescita. Lo sono a tal punto che quando non danno credito l’economia rallenta. In questi mesi, soprattutto a partire dall’autunno scorso, chi vive a contatto con le imprese non ha potuto non registrare una forte restrizione del credito, fino ad arrivare ad una immobilità assoluta.


Le imprese del manifatturiero devono pagare a vista i fornitori di materie prime, il cui costo è peraltro aumentato fortemente; i clienti non pagano (pubblica amministrazione in testa); le banche non riconoscono le fatture e non fanno credito. Stanno “saltando” moltissime imprese sane, e l’assurdo è che oggi falliscono per crediti e non per debiti. L’edilizia è ferma anche perché le banche da mesi non erogano nuovi mutui. Sono fondate le critiche delle banche italiane all’introduzione anticipata di Basilea 3 e alle decisioni suicide dell’Eba: non serve essere economisti per comprendere come si tratti di misure procicliche che contribuiscono a creare un credit crunch peggiore di quello registrato nei mesi a cavallo tra 2008 e 2009. Così come è innegabile il loro impegno, insieme alle associazioni delle imprese, presso il commissario europeo Barnier.


Ma è altrettanto vero che, se la priorità per le nostre banche è la restituzione delle obbligazioni che vengono a scadenza e non il credito a famiglie e imprese, il problema esiste, soprattutto se si considera l’ingente ammontare complessivo del finanziamento loro accordato dalla Bce. Quando a febbraio la Bce farà la nuova emissione, poi, non potranno esserci più scusanti. Non basta citare le statistiche, soprattutto quando assomigliano a quelle di Trilussa: occorre uno sforzo maggiore da parte delle banche, insieme alla capacità di “non essere presbiti”, per usare l’immagine di Di Vico, di guardare cioè alla redditività complessiva e nel medio periodo e non solo a breve, perché quando viene meno il tessuto imprenditoriale, non è così semplice ricrearlo. Il prof. Bazoli denunciava giustamente la mancanza di fiducia, ma essa non deve cominciare proprio dagli “istituti di credito” (credito e fiducia sono sinonimi)? Da parte sua il Governo ha gli strumenti (non da ultimi quelli che gli ha assegnato in merito lo Statuto delle Imprese) per monitorare la situazione e per fare leva sulle banche, e l’autorevolezza per far sentire la sua voce in Europa perché si rivedano le norme in senso anticiclico.


Ma la questione è più profonda delle norme e dell’azione di governo: la fiducia nasce dall’assunzione di responsabilità di ciascuno nel proprio ambito. Vale per le banche come per i tempi della burocrazia. Il caso del Salumificio Beretta riportato lunedì dal Corriere, non è purtroppo isolato, ma è paradigmatico di una irresponsabilità diffusa. Ogni giorno che una pratica giace sul tavolo di un direttore di filiale di una banca o di un amministratore o di un funzionario pubblico è un giorno di Pil negato al paese e di lavoro negato a una persona. Se vogliamo davvero la crescita, dobbiamo ripartire da qui. Al contrario, se i funzionari pubblici pensano solo a non correre rischi, se gli amministratori pensano solo al consenso immediato, se i banchieri concepiscono le banche come fini e non come mezzi e se gli organismi di vigilanza pensano solo a tutelare loro stessi, non andremo molto lontano.

Raffaello Vignali

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